Antonio Del Donno


Antonio Del Donno nasce a Benevento nel 1927. Tra il 1960 e il 1970, insieme all’amico Mimmo Paladino, frequenta la galleria di Lucio Amelio a Napoli. Determinante per la sua ricerca artistica è la scoperta, alla Biennale di Venezia del 1964, delle opere di Robert Rauschemberg, artista che adopera nei suoi dipinti il riporto fotografico, gli oggetti, e collega il tutto con pennellate violente. La prima personale è del 1962 presso la Pinacoteca Provinciale di Benevento. Rauschemberg, Tapies, Vedova, Schifano, Warhol diventano i riferimenti di Antonio Del Donno, che sviluppa un linguaggio pittorico scevro da qualsiasi accademismo e retorica. Manipola il ferro, il legno, realizza oggetti e sculture. Sono del 1972 i “Vangeli”, tavole di legno che riportano con caratteri stampati a fuoco alcuni versetti del Vangelo. La sua arte richiama ironicamente il mondo della pubblicità, critica il consumismo e la superficialità, chiaramente nei cicli: i Contenitori di luce, le Tagliole, i Vangeli e i lavori successivi. “Il principio di una ragione asimmetrica regge l’opera che formalizza l’irregolarità come principio creativo. In questo senso la forma non si esaurisce nell’idea, in quanto non esiste fredda specularità tra progetto ed esecuzione. L’opera porta con sé la possibilità di una asimmetria accettata ed assimilata nel progetto, poiché partecipa della mentalità dell’arte moderna e della concezione del mondo che ci circonda, fatto di imprevisti e di sorprese. In tal modo il concetto di progettualità viene investito di un nuovo senso, non rimanda più ad un momento di superba precisione, ma semmai di verifica aperta, seppure pilotata da un metodo costruito mediante la pratica e l’esercizio esecutivo. Il metodo rimanda naturalmente ad un bisogno di parametro costante e progressivo, ancorato ad una coscienza storica del contesto dominato dal principio della tecnica. La tecnologia sviluppa processi produttivi, ancorati sulla standardizzazione, l’oggettività e la neutralità. Principi costitutivi di una diversa fertilità rispetto a quella costruita sulla tradizionale idea iper-soggettiva della differenza. In questo Antonio Del Donno, artista italiano classicamente moderno, è portatore sano di un’arte capace di produrre differenze mediante la creazione di forme che utilizzano standardizzazione, oggettività e neutralità in maniera fertile, capace di filtrare nell’immaginario di una società di massa pervasa dal primato della tecnica e da questa svuotata di soggettività. Ma questo svuotamento non è visto come una perdita, come potrebbe sembrare ad una mentalità tardo-umanistica o marxista. Invece diventa il portato di una nuova antropologia dell’arte alla fine del XX secolo e del secondo millennio ed in cammino verso il 2000”. (Achille Bonito Oliva)