Beppo Zuccheri, pittore, grafico, manipolatore della materia e dell’immagine, nasce dal fiume Tagliamento nel 1973. Dopo la maturità classica si è diplomato alla Scuola Internazionale di Grafica pubblicitaria di Venezia e ha frequentato per due anni l’Accademia di Belle Arti e la Facoltà di Lettere e Filosofia a Bologna. Si considera comunque un’autodidatta. Tra il 2006 e il 2011 si è dedicato quasi esclusivamente alla grafica editoriale e pubblicitaria, riprendendo la sua ricerca artistica nel 2011. I suoi lavori sono ipotesi emotive, luoghi in cui è possibile davvero riconoscere la propria storia o una storia che ci è stata tramandata dalla tradizione classica, sono attimi di vita di ciascuno, reali o mitologici che affondano visivamente nel nostro presente, nel momento in cui li osserviamo. La loro storia, i loro resti ci guardano negli occhi. Portano le tracce di quello che è stato e di quello che Beppo ci vuole raccontare. Anche i vuoti urlano. Quello che non è sulla superficie, il non detto, il non mostrato, il censurato ha senso tanto quanto il resto. Perché in fin di conti la storia esiste solo se viene raccontata in tutti i suoi anfratti, luminosi o bui essi siano e in queste opere riprendono vita storie profondamente interpretate dall’artista. Scritte illeggibili perché troppo rapide o perché cancellate diventano accenni a scritture antiche forse male interpretare, geroglifici attuali che rimandano alla impossibilità comunicativa, agli attriti tra differenti linguaggi. Sono ammissioni amare, dichiarazioni di quella consapevolezza propria di chi ha vissuto per secoli attraverso la storia. Scale che salgono ma non sfondano, oggetti reali che palesano la bidimensionalità della superficie, bende sugli occhi come silenzi visivi, come divieti. Beppo Zuccheri toglie. Toglie abiti, toglie la libertà ai suoi soggetti legandoli, toglie dettagli che spiegano, nasconde dietro drappi parti di racconto, cancella, priva della funzione originaria tutti gli oggetti che poi si trovano imbalsamati sui suoi lavori. Sono però quei vuoti che ci chiamano, non solo a guardare bene ma anche ad ascoltare. Composizioni, pezzi di realtà che vengono rimaneggiati, riutilizzati, assemblati e ricomposti per assumere nuovi significati e nuove funzioni. Bulloni che diventano gioielli, corde che diventano scale che portano al cielo, pezzi di legno che diventano sipari. Sbaglia chi parla di Arte Povera nel suo caso. Sbaglia chi crede sia una derivazione del ready made si tratta piuttosto di una congregazione di oggetti coscienti che si riuniscono per dare luogo a dimostrazioni sui concetti di movimento mettendo in rapporto lo spazio della tela con il tempo da cui proviene e che essa riesce a comunicare. La presenza di questi oggetti reali, rende la pittura più vicina all’installazione, alla tridimensionalità operativa dell’arte dove l’assemblaggio caotico riesce a condursi in un ordine perfetto, sia strutturale che di lettura.