Claudio Magrassi


Claudio Magrassi nasce nel 1969 a Tortona (AL), dove vive e lavora. Si diploma al Liceo Artistico di Torino, approfondisce le tecniche pittoriche studiando l’arte antica e frequentando l’atelier di artisti affermati, tra i quali Luigi Benedicenti. Predilige fin da subito l’olio su tela, che rimarrà per lui tecnica principale. Il suo percorso è iniziato con l’iperrealismo e con la natura morta per poi giungere ad una tecnica più istintiva ad eleggere la figura umana a soggetto privilegiato, sempre all’insegna di un forte misticismo. Nel 2000 partecipa al premio Arte Mondadori al Museo della Permanente a Milano, nel 2005 alla collettiva “Harmonies” a Dublino (Irlanda) ed alla rassegna “Stemperando” presso la galleria d’arte Moderna di Spoleto. Nel 2006 vince il premio Bocca (MI) e il premio Suzzara (MN). Nel 2008 è invitato alla “Biennale delle Art dell’unità d’Italia” presso il complesso monumentale Real Sito Belvedere di San Leucio a Caserta. Nel 2011 partecipa alla “Biennale di Venezia” e nel 2012 espone alla personale “Inquietudini del contemporaneo”. Nel biennio 2013/14 espone alla fiera d’arte contemporanea “Arte Piacenza”. Nel 2015, in collaborazione con la “Galleria delle visioni”, espone alla personale “Morphos” presso Palazzo Ghizzoni Nasalli (PC) e nel 2016 alla personale milanese “Stigma” a cura di Alessandra Redaelli. Alcuni dei suoi lavori sono entrati a far parte di collezioni pubbliche e museali, quali la “Fabbrica Borroni” di Bollate ed il museo MAGMA (CE). “Di Caravaggio l’artista non riprende solo l’uso fortemente scenico della luce che porta l’opera quasi ad abbracciare lo spettatore, a circondarlo, ma anche il suo spirito barocco, di inquietudine umana ed esistenziale che si annida nelle perturbanti profondità delle tinte scure. Tornano in mente anche le pitture nere di Goya, la loro angosciosa simbologia, che in Magrassi appare però più addolcita. Attraverso un magistrale uso della tecnica pittorica ad olio l’artista mette in scena criptici significanti in una sorta di epica contemporanea abitata da mostri, uomini tatuati ed entità senza tempo, in cui non mancano chiari rimandi alla simbologia cristiana. Decifrazione ostica, spesso, anche delle fisionomie delle figurazioni che si presentano in un’inquietante non-identità, in una “presenza ma assenza” pregna di un’angosciosa purezza esistenziale. è il caso della figura centrale dell’opera che dà il titolo alla mostra, ma anche di quelle nei dispositivi ovali, che ricordano i cammei ottocenteschi, con stranianti cornici plastiche, in cui i volti femminili, sotto una sottile aureola, scompaiono nell’esagitato movimento, a differenza dei loro corpi nudi che restano immobili. Essi sono dominati da un cuore in aggetto sul piano pittorico, infilzato da sottili lame di luce dorata, in una figurazione che ricorda l’iconografia mariana.Mitologie antiche e contemporanee si mescolano in surreali e rugginosi palcoscenici che mettono in mostra l’assolutezza dell’umanità”. (Fabio Giagnacovo)