Ilaria Facci


La sua ricerca è legata alla pittura del Rinascimento italiano e con quello del Contemporaneo. La sperimentazione dell’autoscatto, come forma di ricerca nel subconscio, e del nudo, come interpretazione dell’umano universale, diventano la sua cifra stilistica. Concepisce così opere simboliste ed eteree, che si allontanano dalla visione comune della fotografia come “Istante bloccato nel tempo”, ma piuttosto come immagini “create dal tempo”, in cui passato e futuro si mescolano nel colore e nelle pose in un’eco, tra antico e moderno. Espone in eventi e collettive d’Arte a Londra, Parigi, in Cina e in Italia. Nel 2018 pubblica il primo libro “Blu” di sue fotografie e poesie, introdotto da Giovanni Gastel, Vittorio Sgarbi e Giulia Niccolai. Nel 2018 è in mostra, a cura di Vittorio Sgarbi, presso la sezione DATA del Palazzo Ducale di Urbino con ‘Dialoghi sulla Sofferenza’. A settembre del 2022 ha rappresentato la Fotografia italiana presso il “Photography Festival Albania”. In questi anni ha pubblicato cinque libri: “Blu” e “Retinoblastoma”, curati entrambi da Vittorio Sgarbi e “Mare”, “Sulle Sponde del Tamigi” e “Caleidoscopio” della sua Collana “Libri senza le Parole”). “Ilaria non fotografa quello che vede, ma quello che sente, e il suo sentimento appassionato prende corpo, si fa immagine onirica, si trasforma; o prende altra forma. La sua fantasia si accende, i corpi si agitano entro i panneggi, un vento li avvolge e li muove. Il risultato è lo stesso di un dipinto simbolista o preraffaellita. Si potrà dire: è il processo da cui esce ogni fotografia, che specchia l’interiorità dell’autore. È vero. Ma, nel caso di Ilaria, essa esorbita e genera, con una potenza straordinaria, un fuoco di colori, un dinamismo di forme. Ilaria non ha bisogno di partire, di cercare i soggetti. Le immagini sono dentro di lei e si generano, in fotografia, come i sogni nella nostra mente addormentata. Ma, invece di evaporare, al risveglio, quei sogni si concretizzano, si fanno forme viventi, tumultuose e liriche, assorbendo il teatro e la danza. Non chiediamo altro, non cerchiamo gli scontri interiori o i turbamenti. E così, sempre più struggente, sempre più psichica, sempre più appassionata, è la sua fotografia, dalla quale si alzano musiche, profumi, voluttà. Sarebbe interessante applicare l’occhio e l’anima di Ilaria, nella sua particolare patologia interpretativa, che potenzia e non indebolisce la visione, alla fotografia di un monumento di Leonardo Bistolfi, o di Domenico Baccarini, o di Franz Von Stuck. Ilaria meglio di ogni altro, ne restituirebbe lo spirito. È il tormento formale. La sua sarebbe una palingenesi fotografica dell’opera rappresentata. Una esegesi critica attraverso le immagini”. (Vittorio Sgarbi)