L’arte salverà il mondo – di Matteo Vanzan


“Gmork: ‘Sei uno sciocco e non sai un bel niente di Fantàsia. È il mondo della fantasia umana. Ogni suo elemento, ogni sua creatura scaturisce dai sogni e dalle speranze dell’umanità e quindi Fantàsia non può avere confini.’
Atreyu: ‘Perché Fantasia muore?’
Gmork: ‘Perché la gente ha rinunciato a sperare. E dimentica i propri sogni. Così il Nulla dilaga.’
Atreyu: ‘Che cos’è questo Nulla?’
Gmork: ‘È il vuoto che ci circonda. È la disperazione che distrugge il mondo, e io ho fatto in modo di aiutarlo.’
Atreyu: ‘Ma perché!?’
Gmork: ‘Perché è più facile dominare chi non crede in niente ed è questo il modo più sicuro di conquistare il potere.’
Atreyu: ‘Chi sei veramente?’
Gmork: ‘Io sono il servo del Potere che si nasconde dietro il Nulla. Ho l’incarico di uccidere il solo in grado di fermare il Nulla. L’ho perso nelle paludi della Tristezza. Il suo nome era Atreyu.’
Atreyu: ‘Se tanto dobbiamo morire, preferisco morire lottando. Attaccami Gmork! Io sono Atreyu!’

Muscoli, tessuti, vene, sangue, ossa, organi, liquidi, denti, unghie, pelle. Siamo ciò che siamo, organismi complessi che si ritrovano a vivere su un pianeta senza nemmeno sapere come ci siamo arrivati, nè tantomeno il perchè. Non conosciamo il nostro destino ed esistiamo nella consapevolezza che un giorno succede all’altro solamente perchè da sempre è così. Festeggiamo i nostri compleanni, andiamo alle feste di paese, ci stringiamo ai nostri cari durante le festività, acquistiamo macchine, case, cibi, vestiti, accessori assolutamente indispensabili per quei pochi attimi di gratificazione personale. Inseguiamo denaro, lavoro, tendenze, mode, impegni sociali, cene, cinema, aperitivi, apericene (!!!) nella vita frenetica di un uomo contemporaneo bombardato da immagini, pubblicità, videoclip, like, social, connessioni, globalità, seguaci, influencer, follower, haters, fake news e millantatori di felicità in brevi momenti monoporzione. Ci iscriviamo in palestra, a karate, a calcio, a tennis, a paddle, a corsi di danza, cucina, informatica, nuoto, facciamo diete bevendo intrugli improbabili, lanci con il paracadute, parapendio e troviamo il tempo di fare completi servizi fotografici di piatti al ristorante tra un acquisto su Amazon e uno su Wish. Diciamocelo, non sappiamo più come occupare il nostro tempo! Sentiamo l’esigenza di essere sempre presenti, sempre sorridenti, di mostrarci nel bel mezzo di un viaggio avventuroso alla scoperta dell’arca perduta nei pochi giorni di ferie che il lavoro ci consente di organizzare. Questa è la vita, quella quotidiana, quella che ci regala ansie, dolori, gioie e piccole vittorie personali che ci danno la speranza di un futuro migliore e la consapevolezza di aver fatto qualcosa di utile per noi. Una vita che non necessita di scendere in profondità e di porsi delle domande, piuttosto un’esistenza prodotta e confezionata da coloro che dicono di volerci liberi. “Siate folli”, disse qualcuno, “la follia è solo una maggiore acutezza dei sensi”, disse qualcun altro. Ritengo che una buona dose di follia sia la chiave per possedere un’altra visione dello stato delle cose, magari non migliore, sicuramente differente. Era davvero follia quando qualcuno che finì il nero usò il blu? O era la convinzione di colui che sapeva che i tempi erano ormai maturi per mettere in campo la propria identità, senza filtri e senza condizionamenti tramandati dalle istituzioni? Questa libertà che dicono esserci concessa, fino a che punto ci rende liberi? Fino a che punto ci consente di essere noi stessi, ammesso di saperlo? Conoscere se stessi è indubbiamente la vetta più alta di ogni aspirazione esistenziale. Abbiamo il coraggio di intraprendere questo percorso lungo forse tutta la vita? Sappiamo come farlo? Sappiamo stabilire un punto di partenza, senza conoscere il punto d’arrivo? Abbiamo la consapevolezza che per conoscerci dobbiamo metterci a nudo, svelare le nostre paure, ansie, criticità, sogni, utopie, emozioni, condizionamenti e tutto ciò che fa parte del nostro stesso esistere? Leggere noi stessi presuppone una grande capacità di ascolto, seguendo stati d’animo fluttuanti e capirne le migrazioni epidermiche senza mai cadere nell’insensato “sono fatto così”. Conoscere noi stessi è il primo passo per costruire una fiducia solida e coerente con il rapporto verso il prossimo, senza subirne le volontà o gli attacchi; significa essere integri, consapevoli del nostro posto nel mondo e scegliere ciò che deve, o non deve, far parte della nostra vita. A pensarci bene, l’arte è come la calligrafia: unica e completamente personale. Una sorta di scrittura legata a dei gesti, a loro volta legati ad una mente, ad un pensiero, ad una necessità che appartengono sempre e solo ad un’unica persona: l’artista. Non parliamo di opere attribuibili, o non, ad un Maestro anche solo per la tipologia di pennellata stesa sulla tela? Quasi fossero elementi per ricostruire l’identikit di autenticità di un lavoro, scopriamo alla fine che la vera autenticità non è solo dell’opera, ma soprattutto di chi l’ha fatta seguendo degli elementi comportamentali identitari. Penso, ad esempio, alla produzione tarda di Tiziano quando impastava il colore con le dita direttamente sulla tela. Non credo che Tiziano avesse bisogno di dipingere perchè non aveva da mangiare… L’urgenza espressiva era di colui che non poteva farne a meno, di un uomo che voleva sempre mettersi in gioco, un’arte terapeutica e necessaria alla sua stessa sopravvivenza. Questa produzione ci permette di comprendere un uomo di successo dal carattere forte che, alla fine della sua vita, tremante, quasi totalmente cieco e in bilico tra la vita e la morte ancora arrivava a scolpire il colore con una determinazione quasi mitologica. Attraverso il colore, le pennellate e tutti gli elementi caratterizzanti le arti visive possiamo entrare in contatto con l’anima di Tiziano, Palma il Vecchio, Michelangelo, Lotto, Rubens e di tutti i protagonisti dell’arte fino ai giorni nostri. Potremmo guardare centinaia di opere in un qualsiasi Museo del mondo senza mai notare nulla, oppure potremmo soffermarci su un dettaglio apparentemente insignificante, come un minuscolo cartiglio inserito in una natura morta che riporta la firma dell’artista, e scoprire che in quel cartiglio si nascone l’anima di un autore che vuole gridare al mondo “questo l’ho fatto io!!” aprendo il dibattito, ancora in corso, sull’origine della creazione artistica. Di fronte ad una tela bianca non possiamo mentire a noi stessi e sapete perchè? Perchè l’arte è prima di tutto verità! Ed è per questo che l’arte salverà il mondo. Perchè ci mostra cosa siamo veramente, ci permette di fuggire dalla quotidianità ed aprire una porta verso l’infinita vastità della nostra mente, ci obbliga a pensare, a porci tutte quelle domande scomode a cui solo noi possiamo rispondere. L’arte ci consente di conoscerci, di conoscere gli altri, di instaurare rapporti costruttivi, di rivaleggiare positivamente per raggiungere obiettivi sempre più alti e, in definitiva, per fuggire alla banalità di un’esistenza fluida che ci vuole inermi e controllabili come automi. Grazie all’arte e alla cultura possiamo arrivare ad una comprensione delle cose che non ci rende influenzabili, adattabili e supinamente condiscendenti e l’artista contemporaneo è più simile ad Atreyu di quanto possiamo immaginare.Artisti che mettono in ogni singola opera un microscopico pezzo della propria anima per resistere ad un Nulla che tutto sommerge e sovrasta, a combattere contro il sistema, contro il mercato e contro l’apparente disinteresse di chi, oggi, vede l’arte come a qualcosa di superfluo e non necessario. Sono gli eroi che combattono tutti i giorni per non piegarsi alle mode del momento, alle subdole regole di un mercato che cerca sempre interessi finanziari e rapide speculazioni, contro un malessere generale che ci distanzia sempre di più dalla consapevolezza che senza l’Arte, saremmo solamente muscoli, tessuti, vene, sangue, ossa, organi, liquidi, denti, unghie, pelle, ecc, ecc, ecc.

L’artista sarà sempre Atreyu e sceglierà sempre di combattere!