PierLuigi Pusole


L’ordine alchemico delle immagini che circondano lo spettatore e si ripetono ossessive cattura chi guarda in modo magnetico. Appaiono ambienti lacustri e foreste popolate da uomini e donne qualsiasi, intenti in occupazioni quotidiane come camminare o trasportare oggetti. Figure, situazioni e ambientazioni ritornano con sottili variazioni e rimandi da una tela all’altra. “Mentre i paesaggi sono inventati, per i busti e le figure utilizzo come matrice fotografie trovate su riviste e giornali, che colleziono nel mio archivio”, racconta Pusole. “Con la carta da lucido le ricalco, poi con l’ingranditore le proietto per capovolgerle, rimpicciolirle, ingrandirle a piacimento, infine le inserisco nelle composizioni senza curarmi delle regole prospettiche e delle proporzioni”. Questa piccola incongruenza attrae immediatamente lo sguardo dello spettatore, che è portato a considerare con maggior attenzione questi individui dall’aria vagamente familiare. Qualche volta li vediamo soli, a tu per tu con la natura, figure che non stonerebbero in un quadro di Caspar David Friedrich non fosse che le quinte naturali che li circondano sono svuotate di pathos e prive della maestosa grandezza del sublime. Più spesso attraversano la scena in coppia, sembrano impegnati in banali conversazioni, ma i loro corpi proiettano ombre lunghissime e inquietanti. Talvolta, si scopre che l’uomo in realtà è uno solo, l’altra figura è identica ma speculare. Rappresenta forse il suo doppio, il suo alter ego, il suo clone, la sua metà oscura? Altrove il clone si affaccia all’orizzonte, apparizione gigantesca, spettrale, spiazzante. La vegetazione è rigogliosa, le acque del lago sono calme, il paesaggio non è accidentato e, anche se dipinto con un rosso e con un verde che di naturale hanno ben poco, l’impressione che se ne ricava è quella di un contesto nel complesso non ostile all’uomo. Le tele tuttavia non ispirano un sentimento di abbandono fiducioso alla natura, e, nei rari casi in cui questo si verifica, subentra la duplicazione della figura a insinuare il dubbio che si tratti soltanto di un sogno. L’artista vuole forse dare espressione ai fantasmi che agitano la coscienza contemporanea, alle ombre del cuore? Pierluigi Pusole è nato nel 1963 a Torino, dove vive e lavora. Dopo una formazione come pubblicitario, ha cominciato a esporre nel 1984 partecipando alle collettive organizzate nello studio dell’artista e collezionista Corrado Levi, facendosi apprezzare e conoscere per interni e paesaggi nei quali l’errore e l’anomalia fanno da filo conduttore. Dopo la serie ispirata alle interferenze sullo schermo del televisore, negli anni Novanta attraversa una fase postespressionista. Dal 2000 si dedica al progetto “Io sono dio”, culminato nel recente ciclo intitolato “Experiments”.