Riccardo Cavallini


Riccardo Cavallini è nato a Padova nel 1971. Si è diplomato all’Accademia di Belle Arti di Venezia nel 1995, nella sezione di pittura. Vive e lavora a Vicenza, ed ha partecipato a varie collettive artistiche e personali nazionali. “Il lavoro che presento”, racconta, “è costituito per lo più dall’immagine del volto, uno scavo emozionale tra fantasia e memoria. Il linguaggio della pittura e del disegno a carboncino e pastelli, è usato per stratificazioni insistite, tese a trasformare il referente fotografico in qualcosa d’ altro. La fotografia è un punto di partenza, un dato realistico che si trasforma e muta, questo viene piegato alle mie necessità espressive. Tendo sempre ad evidenziare un’intensità di presenza, un volto che nella sua essenza si annulla attraverso la propria sconosciutezza. L’immagine è il fantasma della vita, il suo doppio, l’arte non sarà mai rappresentazione di qualcosa che vedo, ma espressione delle mie perplessità e stupori di fronte a ciò che vedo. Il motore del mio atto creativo è questa presenza irrisolta che tutti noi chiamiamo vita. Il mio lavoro nasce dal bisogno di fare emergere ciò che oscuramente è sempre presente, ma che non viene approfondito, né visitato. Ciò che noi nominiamo come reale, contiene sempre un aspetto oscuro. La zona d’ombra è ciò che mi attrae, per questo cerco sempre di rendere attraverso il colore l’oscura luminosità del reale. La contemplazione è vedere qualcosa con uno sguardo sgombro dalle conclusioni che ne limitino la profondità. Pratico meditazione con il Maestro Franco Bertossa dell’associazione ASIA di Bologna dal 2000, l’esperienza del profondissimo insegnamento del mio maestro, il rigore e la lucidità della sua guida mi hanno fatto maturare uno sguardo ‘altro’. Il rapporto con questo guardare ha cambiato radicalmente il mio modo di dipingere. Penso che anche la pittura sia da intendersi come pratica meditativa perché va oltre le conclusioni ostruenti che ci legano ad un finto sapere nozionistico e superficiale. Portando lo sguardo alle soglie del non sapere saputo la risposta diventa la domanda”.